
Storicamente lo stretching è un pilastro nella prevenzione degli infortuni e nella cura del dolore, ma negli ultimi 15 anni di ricerca molte delle nostre convinzioni sono state smentite.
Rispondiamo a un po’ di domande:
Cosa intende con “stretching”? La parola di per sé significa “stiramento, allungamento” dal verbo “to stretch“, un termine molto onomatopeico, ed effettivamente la pratica di stretching consiste nell’allungare il muscolo fino a sentirne la tensione, e di mantenere questa lunghezza per un determinato tempo; a cosa serve? Sicuramente lo stretching è un ottima metodica per aumentare la flessibilità, ma è l’unica metodica? No, anche con l’esercizio attivo si può migliorare; è la migliore? Forse si, almeno nel breve termine. Migliora il dolore? Non sempre; è utile nella prevenzione degli infortuni? Dagli studi sembrerebbe di no. Ora cerchiamo di rispondere nel dettaglio
Cosa succede precisamente quando “Stretchiamo”?
Non scenderemo nel tecnico, ma aumentando la distanza tra l’origine e l’inserzione del muscolo, mettiamo in tensione il muscolo stesso nelle sue componenti contrattili, ma anche i tendini e l’esoscheletro, strutture non contrattili ma elastiche. Pensate a quando avete in mano due sacchetti della spesa molto pesanti e state con le spalle rilassate, i trapezi si allungheranno, proprio come succede nello stretching, inizialmente non avvertirete una tensione eccessiva, ma dopo un po’ sentirete la tensione aumentare finché si trasformerà in dolore/sensazione spiacevole in corrispondente dei trapezi (superiori), nonostante non li stiate attivando, come se li aveste allenati portandoli allo sfinimento. Come mai succede questo? Solo per la tensione? Provate a immaginare il muscolo come una spugna pregna di sangue, quando stiro una spugna, questa si “svuota” e finché non la rilascio la spugna non si riempie di liquidi. Questo è quello che accade a livello muscolare, il sangue “scappa” dai muscoli (e dai tendini, che sono già poco vascolarizzati) creando un’ischemia locale, che di per sé non è un problema, anzi, quando di breve durata crea una sorta di “sete di ossigeno” che porta la zona a un maggior richiamo di sangue ossigenato, ma quando è di lunga durata non è positiva, creando sofferenza nell’ambiente muscolo, il quale risponde col dolore, inducendoci a interrompere l’allungamento/tensione.
Cosa succede alle componenti elastiche (come il tendine) presenti nel muscolo in un allungamento prolungato? Queste aumentano la loro plasticità, quindi con lo stretching aumentano la loro capacità di allungarsi, e questo fa si che la nostra flessibilità muscolare/articolare aumenti, ma al tempo stesso si riduce (temporaneamente) la loro capacità di ritorno elastico. Pensate ai comuni elastici da cucina, dopo un po’ che li utilizziamo tendono a “lasciarsi andare” proprio perché perdono le loro capacità elastiche, questo è quello che succede al nostro complesso muscolo quando facciamo degli allungamenti prolungati, ma a differenza di un composto inorganico quale l’elastico da cucina, dopo un po’ di tempo riacquistiamo la nostra elasticità.
Questo deve farci ragionare sull’efficacia dello stretching nel riscaldamento, è veramente utile perdere la forza di ritorno elastico a favore della plasticità? La risposta è dipende, dipende dal tipo di attività che andremo a fare, ma nelle comuni attività fisica di forza e resistenza non ha molto senso, in quanto è dimostrato che l’esplosività dei muscoli dopo stretching è ridotta fino al 30% e in uno sport di resistenza come la corsa, la perdita di elasticità muscolare renderebbe meno economico il gesto stesso della corsa, sfruttando meno la spinta dell’energia elastica che si accumula ogni passo. Bisogna però sottolineare che questo avviene solamente in stretching lunghi, con tenute superiori ai 40″, in uno stretching dinamico o comunque di breve durata non abbiamo questo effetto, inoltre è un effetto temporaneo, presto recupererò la mia elasticità. Mentre nelle discipline come la danza, dove ho bisogno di grande mobilità ovviamente ha senso fare un lavoro prolungato di stretching (dipenderà anche dal tipo di danza).
Conviene farlo? Se si quando?
Sicuramente visto quanto detto se dovessi consigliare quando farlo, consiglierei di farlo a fine seduta d’allenamento anziché all’inizio come spesso si fa; inoltre dei pazienti mi raccontano che vi dedicano intere sedute all’allungamento. Questo può avere senso da un punto di vista di rilassamento/mindfulness, perché è una pratica non faticosa e durante la quale posso esercitarmi con la respirazione diaframmatica, ma a meno che nella mia disciplina non abbia bisogno di una determinata mobilità, da un punto di vista di performance, salute e controllo del dolore non ha una grande utilità, e sarebbe meglio utilizzare quel tempo per effettuare esercizi attivi, certamente migliori per la salute, performance e allentamento del sistema nervoso centrale, in quanto l’esecuzione di attivi a livello di elaborazione dei segnali della corteccia è certamente più allenante rispetto a una terapia “passiva” come lo stretching (a meno che non si effettuino delle tecniche PNF).
Per quanto riguarda il dolore non ci sono evidenze particolari a favore dello stretching semplice, ma è anche vero che ci sono diversi tipi di stretching, e soggettivamente i risultati cambiano da persona a persona. Per cui il consiglio è se personalmente avvertite del beneficio potete continuare a farlo, ma in caso non apporti benefici è bene interrompere la pratica. I motivi per cui a qualcuno possa far bene e a qualcuno no sono da ricondurre a fattori soprattutto mentali-psicologici piuttosto che meccanici; molto probabilmente se reputiamo, a livello conscio o inconscio, lo stretching come la cura del nostro problema probabilmente ci aiuterà, almeno nel breve termine.
In conclusione, come tutte le terapie “passive” non dobbiamo né denigrarlo, né considerarlo come una cura miracolosa, può essere una componente del nostro allentamento, attività fisica, ma non deve essere la principale, perché seppur piacevole se vuoi avere dei risultati bisogna faticare, almeno un po’. Come si dice in inglese NO PAIN NO GAIN (pain lo tradurrei meglio come fatica, più che dolore, ma il concetto è piuttosto chiaro 🙂 )









