Stretching o non stretching?

Storicamente lo stretching è un pilastro nella prevenzione degli infortuni e nella cura del dolore, ma negli ultimi 15 anni di ricerca molte delle nostre convinzioni sono state smentite.

Rispondiamo a un po’ di domande:

Cosa intende con “stretching”? La parola di per sé significa “stiramento, allungamento” dal verbo “to stretch“, un termine molto onomatopeico, ed effettivamente la pratica di stretching consiste nell’allungare il muscolo fino a sentirne la tensione, e di mantenere questa lunghezza per un determinato tempo; a cosa serve? Sicuramente lo stretching è un ottima metodica per aumentare la flessibilità, ma è l’unica metodica? No, anche con l’esercizio attivo si può migliorare; è la migliore? Forse si, almeno nel breve termine. Migliora il dolore? Non sempre; è utile nella prevenzione degli infortuni? Dagli studi sembrerebbe di no. Ora cerchiamo di rispondere nel dettaglio

Cosa succede precisamente quando “Stretchiamo”?

Non scenderemo nel tecnico, ma aumentando la distanza tra l’origine e l’inserzione del muscolo, mettiamo in tensione il muscolo stesso nelle sue componenti contrattili, ma anche i tendini e l’esoscheletro, strutture non contrattili ma elastiche. Pensate a quando avete in mano due sacchetti della spesa molto pesanti e state con le spalle rilassate, i trapezi si allungheranno, proprio come succede nello stretching, inizialmente non avvertirete una tensione eccessiva, ma dopo un po’ sentirete la tensione aumentare finché si trasformerà in dolore/sensazione spiacevole in corrispondente dei trapezi (superiori), nonostante non li stiate attivando, come se li aveste allenati portandoli allo sfinimento. Come mai succede questo? Solo per la tensione? Provate a immaginare il muscolo come una spugna pregna di sangue, quando stiro una spugna, questa si “svuota” e finché non la rilascio la spugna non si riempie di liquidi. Questo è quello che accade a livello muscolare, il sangue “scappa” dai muscoli (e dai tendini, che sono già poco vascolarizzati) creando un’ischemia locale, che di per sé non è un problema, anzi, quando di breve durata crea una sorta di “sete di ossigeno” che porta la zona a un maggior richiamo di sangue ossigenato, ma quando è di lunga durata non è positiva, creando sofferenza nell’ambiente muscolo, il quale risponde col dolore, inducendoci a interrompere l’allungamento/tensione.

Cosa succede alle componenti elastiche (come il tendine) presenti nel muscolo in un allungamento prolungato? Queste aumentano la loro plasticità, quindi con lo stretching aumentano la loro capacità di allungarsi, e questo fa si che la nostra flessibilità muscolare/articolare aumenti, ma al tempo stesso si riduce (temporaneamente) la loro capacità di ritorno elastico. Pensate ai comuni elastici da cucina, dopo un po’ che li utilizziamo tendono a “lasciarsi andare” proprio perché perdono le loro capacità elastiche, questo è quello che succede al nostro complesso muscolo quando facciamo degli allungamenti prolungati, ma a differenza di un composto inorganico quale l’elastico da cucina, dopo un po’ di tempo riacquistiamo la nostra elasticità.

Questo deve farci ragionare sull’efficacia dello stretching nel riscaldamento, è veramente utile perdere la forza di ritorno elastico a favore della plasticità? La risposta è dipende, dipende dal tipo di attività che andremo a fare, ma nelle comuni attività fisica di forza e resistenza non ha molto senso, in quanto è dimostrato che l’esplosività dei muscoli dopo stretching è ridotta fino al 30% e in uno sport di resistenza come la corsa, la perdita di elasticità muscolare renderebbe meno economico il gesto stesso della corsa, sfruttando meno la spinta dell’energia elastica che si accumula ogni passo. Bisogna però sottolineare che questo avviene solamente in stretching lunghi, con tenute superiori ai 40″, in uno stretching dinamico o comunque di breve durata non abbiamo questo effetto, inoltre è un effetto temporaneo, presto recupererò la mia elasticità. Mentre nelle discipline come la danza, dove ho bisogno di grande mobilità ovviamente ha senso fare un lavoro prolungato di stretching (dipenderà anche dal tipo di danza).

Conviene farlo? Se si quando?

Sicuramente visto quanto detto se dovessi consigliare quando farlo, consiglierei di farlo a fine seduta d’allenamento anziché all’inizio come spesso si fa; inoltre dei pazienti mi raccontano che vi dedicano intere sedute all’allungamento. Questo può avere senso da un punto di vista di rilassamento/mindfulness, perché è una pratica non faticosa e durante la quale posso esercitarmi con la respirazione diaframmatica, ma a meno che nella mia disciplina non abbia bisogno di una determinata mobilità, da un punto di vista di performance, salute e controllo del dolore non ha una grande utilità, e sarebbe meglio utilizzare quel tempo per effettuare esercizi attivi, certamente migliori per la salute, performance e allentamento del sistema nervoso centrale, in quanto l’esecuzione di attivi a livello di elaborazione dei segnali della corteccia è certamente più allenante rispetto a una terapia “passiva” come lo stretching (a meno che non si effettuino delle tecniche PNF).

Per quanto riguarda il dolore non ci sono evidenze particolari a favore dello stretching semplice, ma è anche vero che ci sono diversi tipi di stretching, e soggettivamente i risultati cambiano da persona a persona. Per cui il consiglio è se personalmente avvertite del beneficio potete continuare a farlo, ma in caso non apporti benefici è bene interrompere la pratica. I motivi per cui a qualcuno possa far bene e a qualcuno no sono da ricondurre a fattori soprattutto mentali-psicologici piuttosto che meccanici; molto probabilmente se reputiamo, a livello conscio o inconscio, lo stretching come la cura del nostro problema probabilmente ci aiuterà, almeno nel breve termine.

In conclusione, come tutte le terapie “passive” non dobbiamo né denigrarlo, né considerarlo come una cura miracolosa, può essere una componente del nostro allentamento, attività fisica, ma non deve essere la principale, perché seppur piacevole se vuoi avere dei risultati bisogna faticare, almeno un po’. Come si dice in inglese NO PAIN NO GAIN (pain lo tradurrei meglio come fatica, più che dolore, ma il concetto è piuttosto chiaro 🙂 )

Riscaldamento muscolare e defaticamento: a cosa servono? Quanto devono durare?

Preparare il nostro corpo alla seduta d’allenamento significa effettuare degli esercizi specifici per l’attività che andremo a fare prima che questa cominci.
È importante perché in questa fase avviene l’attivazione muscolare e del sistema nervoso. Le macchine prima di una corsa effettuano il cosiddetto “warm up” che serve al motore e alle gomme per entrare nella
temperatura ideale per poter effettuare la gara al meglio, per la “macchina uomo” il discorso è lo stesso; quando siamo a riposo il sangue circola in parte nei nella muscolatura per permetterci di muovere, ma soprattutto negli organi vitali per l’attivazione dei processi metabolici che ci consentono di digerire, assorbire i nutrienti, produrre feci etc. Con l’attivazione muscolare il sangue viene richiamato in periferia per rendere la muscolatura più efficiente e performante. Inoltre vengono attivate anche le aree cerebrali motorie, questo renderà più fluidi ed economici i movimenti diminuendo il rischio di infortuni, l’obiettivo principale del riscaldamento oltre al quello di rendere al massimo durante l’allenamento.
Consiste soprattutto in esercizi di mobilità, allungamento (meglio DINAMICO) fino a gesti quale la corsa, pedalata ed anche lo sprint.

La scelta degli esercizi dipende molto dall’attività che andremo a fare, ad esempio in uno sport di squadra come il calcio o il basket sarà utile inserire già esercizi con la palla, in modo da preparare il nostro sistema nervoso a gesti che prevedano l’utilizzo della stessa, nell’allenamento con i pesi useremo manubri e bilancieri e cosi via. È importante che negli esercizi il carico iniziale sia basso, proprio perché non siamo ancora stati
“attivati” ma è importante che salga durante il warm up proprio per renderci pronti all’allenamento. Per non consumare le nostre riserve energetiche bisogna si arrivare ad un’alta intensità ma al
tempo stesso la durata deve essere breve, si calcola infatti che un buon riscaldamento duri tra i 7 e i 20 minuti (non oltre!).

Alla fine di un allenamento sarebbe buona pratica eseguire il defaticamento, ovvero un’attività simile al riscaldamento ma finalizzata non ad aumentare il battito cardiaco ma piuttosto a diminuirlo con gradualità, per favorire il ritorno venoso e mantenere efficiente lo smaltimento del famoso acido lattico, che avverrà comunque nel giro di poco tempo (si parla di minuti e al massimo ore, non confondetelo coi DOMS, ovvero i dolori a insorgenza ritardata dovuti alle microlesioni benigne dei muscoli nelle 24-48 ore successive all’allenamento!). Un’improvvisa interruzione dell’attività fisica può provocare infatti stasi
venosa e giramenti di testa proprio per il repentino abbassamento di battiti cardiaci. È proprio in questa fase che possiamo fare dei lavori specifici per il miglioramento della flessibilità articolare, infatti lo stretching passivo prolungato è ormai sconsigliato nella fase di warm up, soprattutto per le discipline in cui serve esplosività ed elasticità muscolare, ma può essere utile svolto a fine sessione per migliorare l’articolarità.

Guida all’allenamento con carichi

TIPI di ESERCIZIO:

  1. Corpo libero, sbarra, parallele, trx, anelli
  2. Esercizi con Bilanciere, manubri, kettlebell
  3. Esercizi con Macchine isotoniche
ESERCIZIOPROCONTRO
Corpo liberoAssenza carichi esterni, controllo del movimento, minor percezione di rischioDifficoltà di quantificare il carico effettivo dell’esercizio, difficoltà dell’aumento graduale del carico
Bilanciere, manubriPossibilità di quantificare il carico e il suo progresso, controllo del movimentoPiù stress del SNC, alta percezione del rischio
MacchinePossibilità di quantificare il carico e il suo progresso, possibilità di lavorare con volumi più alti, movimento sempliceScarso stress del SNC e controllo del movimento guidato

PARAMETRI DI UN ESERCIZIO CON SOVRACCARICO

RIPETIZIONE: Numero delle volte che si deve ripete un determinato esercizio/movimento consecutivamente

SERIE: Numero delle volte che si deve ripetere il quantitativo di ripetizioni, intervallato da pause

PAUSA: Minutaggio di riposo tra una serie e l’altra

VOLUME: Mole di lavoro totale, dato da serie per ripetizione per carico

INTENSITA’: Percentuale del Massimale a cui sto lavorando

CARICO MASSIMALE: E’ il carico più alto che sono in grado di sollevare una sola volta, corrispondente al 100% dell’intensità (1RM=1 ripetizione massimale)

BUFFER: Serie nella quale il numero di ripetizioni stabilito non è il massimo del numero di ripetizioni che si è in grado di eseguire

CEDIMENTO: Serie nella quale si esegue il numero massimo di ripetizioni che è possibile eseguire

MONOFREQUENZA: tipo di allenamento nel quale si allena un gruppo muscolare in un solo giorno in una settimana

MULTIFREQUENZA: tipo di allenamento nel quale si allena un gruppo muscolare più giorni a settimana

Come Calcolare il Massimale di un esercizio?

METODO DIRETTO: Consiste nel raggiungimento diretto del massimo carico sollevabile (raggiunto per step e dopo periodo di riposo, in modo che i muscoli interessati siano nel pieno delle loro potenzialità). Vantaggi: massima precisione. Svantaggi: rischio infortunio, consigliato per persone allenate.

METODO INDIRETTO: Consiste nella stima del massimale sulla base del carico non massimale sollevate un determinato numero di volte fino al cedimento, basato su tabelle, come quella riportata:

Vantaggi: Rischio infortuni minore. Svantaggi: minor precisione

Per evitare di arrivare al Cedimento quando si a che fare con neofiti è possibile utilizzare tabelle per il carico massimale che prevedano uno sforzo che non arrivi al cedimento (metodo RIR, repetitions in reserve), oppure utilizzando la scala di borg o RPE (raited perceived exertion).

Nel primo caso si chiede al soggetto di eseguire un numero di ripetizioni tali che ne abbia ancora disponibili per esempio 2 (RIR 2) con un determinato peso, a questo punto mi basterà tornare in tabella ed aggiungere le due ripetizioni ipotetiche che avrebbe potuto eseguire per calcolare il massimale stimato.

Nel secondo caso viene chiesto di eseguire un determinato numero di ripetizioni (non massimale) e alla fine dell’esercizio viene sottoposta (dopo essere stata spiegata) la scala di Borg, dove dal valore percentuale ricavato dallo sforzo riferito dal paziente da 0 a 10 verrà calcolato a quanto corrisponde il 100% ovvero il massimale:

TIPI DI FORZA:

Forza massima: Capacità esprimere una forza elevata in unica contrazione

Forza: Capacità di esprimere una forza elevata un numero limitato di volte

Potenza: Capacità di sostenere un lavoro elevato per un tempo prolungato

Forza veloce: Capacità di superare alte resistenze con un’elevata velocità di contrazione

Resistenza alla forza: Capacità di sviluppare una forza moderata per un tempo prolungato

COME INCREMENTARE LA MASSA MUSCOLARE?

Il muscolo ha due strade per aumentare la massa muscolare: IPERPLASIA e IPERTROFIA

L’iperplasia è l’aumento del numero delle fibre muscolari, dovuto alle cellule satellite, ma nel processo di crescita muscolare dovuta all’allenamento ha un ruolo marginale, mentre la crescita è soprattutto dovuta all’ipertrofia.

L’ipertrofia è l’aumento della sezione delle fibre muscolari stesse, che porta all’aumento del diametro del ventre muscolare.

I due parametri più importanti per aumentare la massa muscolare sono il surplus calorico nell’alimentazione e il volume di lavoro dell’allenamento.

Il volume dell’allenamento è direttamente proporzionale all’incremento della massa muscolare, ovviamente se fosse così semplice basterebbe allenarsi molto per ottenere risultati, bisogna invece tenere conto di tutti i parametri per poter incrementare volume e massa muscolare.

Innanzi tutto i carichi devono essere alti e le strade migliori per l’aumento della massa sono due, esercizi con carichi oltre l’80% del massimale con basse ripetizioni a buffer, circa tra le 3 e 6 ripetizioni per serie, oppure lavorando a cedimento con un range di ripetizioni tra le 8 e le 15.

QUANTE SERIE DEVO FARE PER OGNI GRUPPO MUSCOLARE?

Dipende, come sempre. Si è però visto che i risultati ottenuti con meno di 5 serie settimanali per gruppo muscolare erano in realtà molto limitati, mentre aumentavano esponenzialmente fino alle 10 serie settimanali fino a raggiungere un picco tra le 18 e le 22 serie settimanali (la media ottimale era intorno alle 20). Ovviamente questi numeri dipendono anche dal livello di allenamento della persona e dall’intensità degli esercizi svolti, è buona abitudine variare gli esercizi, ma nemmeno troppo, per evitare uno stress troppo alto del SNC ed anche per poter migliorare col carico per ogni esercizio (se vario troppo spesso gli esercizi sarà piu difficile valutare i miglioramenti e la gestione del carico). Esistono anche altri metodi per “pesare” il lavoro settimanale, ma quello di contare le serie risulta semplice e funzionale.

BUFFER CONTRO CEDIMENTO

I lavori a buffer solitamente sono lavori che consentono di tenere volumi di lavoro più alti, perché stressano meno il SNC. Quindi solitamente sono più sicuri in quanto il controllo motorio è più efficace avendo ancora in riserva delle ripetizioni. Di contro, al fine di permettere il recupero tra una serie e l’altra per non arrivare al cedimento, prendono più tempo all’interno della seduta d’allenamento e se il mio fine è quello di mettere in crisi il SNC potrebbero essere più indicati esercizi a cedimento.

Il lavoro a cedimento chiaramente è più stressante per il SNC, perché soprattutto nelle ultime ripetizioni il controllo motorio è più difficile, per affaticamento del sistema muscolare e del sistema nervoso, essendo più stressante la risposta neuromuscolare e ormonale sarà anche maggiore, chiaramente mi troverò più affaticato serie per serie e sarà difficile mantenere un volume di lavoro alto. Particolarmente indicato nell’allenamento finalizzato a mantenere un buon livello di forza e di controllo in situazioni di particolare affaticamento.

All’interno di una sessione d’allenamento potrebbe quindi essere utile sia inserire esercizi a buffer, che a cedimento.

OVERTRAINING e OVERREACHING

L’overtraining è una condizione PATOLOGICA dovuta a un sovraccarico in termini di volume ed intensità protratta per un periodo LUNGO, che porta ad affaticabilità, debolezza muscolare, peggior controllo motorio con predisposizione ad infortuni e/o ammalarsi. E’ necessario un periodo di riposo e graduale gestione del carico nella ripresa per la risoluzione.

L’overreaching è uno stato temporaneo di decremento della forza dovuto al sovraccarico dell’allenamento, che è la condizione perché la mia sessione sia stata allenante.

Arrivare all’overtraining è più difficile di quanto si pensi, solitamente viene raggiunto solo da atleti che sia allenano tutti i giorni ad alta intensità, per cui è difficile che un amatore raggiunga effettivamente questa condizione; per comunque evitare che ciò avventa l’allenamento va pesato accuratamente ma sarebbe comunque utile inserire una settimana di scarico all’interno di un ciclo.

CADENZA ALLENAMENTI E SEDUTE SETTIMANALI

Anche in questo caso dipende dagli obiettivi della persona, da quanti allenamenti settimanali è disposto a fare, dalla quantità di attività fisica che fa durante la settimana oltre a quella in palestra. Si possono impostare anche programmi di forza con un allenamento settimanale, fino ad arrivare ad allenarsi tutti i giorni. Ovviamente più giorni ci si allena più si incorre nel rischio di OVERTRAINING, che però solitamente è sovrastimato, per raggiungerlo è necessario lavorare a carichi alti per periodi molto lunghi.

In ogni caso per questo motivo quando ci si allena con carichi allenanti è utile inserire un periodo di “scarico”, ovvero un periodo in cui si abbassa il volume di lavoro (riduzione del 20% del volume circa, o per alcuni se sentono la necessità si può anche programmare uno stop completo) per permettere al fisico di recuperare totalmente le forze e abbassare il rischio di overtraining. Mediamente le persone ne sentono la necessità (solitamente si fa per la durata di un microciclo, quindi circa una settimana) dopo 3/6 settimane di allenamento (la corrispondenza di un mesociclo circa)

PERIODIZZAZIONE: MICROCICLO, MESOCICLO, MACROCICLO

Per periodizzazione dell’allenamento intendiamo come organizzare l’allenamento in funzione degli obiettivi che voglio raggiungere. Il periodo più grande al quale mi riferisco per il raggiungimento di un obiettivo generale (come può essere una gara nel caso di atleti) si chiama MACROCICLO e può durare fino ad un anno. All’interno del macrociclo al fine di raggiungere quell’obiettivo generale avrò dei periodi di allenamenti diversificati ciascuno dei quali avrà come fine dei sotto obiettivi, come l’allenamento di determinate capacità condizionali; questi periodi durano all’incirca un mese, infatti si chiamano mesocicli. Per il raggiungimento di un obiettivo nel mesociclo si dovrà ripetere per un certo numero di volte l’allenamento del microciclo (modificando i parametri allenanti tra un microciclo e l’altro, come l’aumento graduale del carico), ovvero il ciclo più breve della mia periodizzazione, che solitamente corrisponde a una settimana, che sarà composto a sua volta di singoli allenamenti, strutturati tenendo conto degli obiettivi di meso e macrociclo.

ESERCIZI FONDAMENTALI NELLA PESISTICA:

  1. Panca piana (bench press)
  2. Stacco da terra (deadlift)
  3. Squat

COMPLEMENTARI PRIMARI

  1. Military press
  2. Trazioni/lat machine

TABELLA CREAZIONE ESERCIZI CORPO LIBERO/PESI

 SQUATLUNGEBENDPUSHPULLTWISTGAIT
GAIT       
TWIST       
PULL       
PUSH       
BEND       
LUNGE       
SQUAT       

Questa tabella è molto utile soprattutto nella creazione di esercizi “funzionali” ovvero esercizi volti a riprodurre schemi di movimento che posso utilizzare nella vita quotidiana piuttosto che nell’attività sport-specifica. Si basa sui 7 movimenti “fondamentali” che posso eseguire a corpo libero e le varie combinazioni che posso creare tra di loro:

SQUAT: Piegamento sulle ginocchia

LUNGE: Affondo

BEND: Flessione laterale

PUSH: Spinta

PULL: Tirata

TWIST: Torsione

GAIT: Passo

Ad esempio se faccio una camminata in affondo avrò utilizzato una combinazione tra GAIT e LUNGE, creando un semplice esercizio funzionale.

Elia Brocchetti

LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE – GUIDA COMPLETA

INDICE

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“Sollevare carichi fa male alla schiena”…FALSO!

gestione carichi
Oggi trattiamo di un argomento che mi sta particolarmente a cuore: LA GESTIONE DEI CARICHI
Per anni si è creduto che la causa principale della lombalgia fosse l’eccesso dei carichi a livello lombare dovuti alle attività lavorative svolte; per questo motivo, soprattutto quando si ha già sviluppato una lombalgia cronica, si evita di effettuare qualsiasi tipo di sollevamento per la paura che si acutizzi. Per non parlare di quando è stata diagnosticata un’ernia! Ma di questo ne parleremo in uno dei prossimi articoli, vi anticipo solo che nella maggior parte dei casi l’ernia è solamente il processo d’invecchiamento del disco, comparabile alla comparsa delle rughe e dei capelli bianchi, e che la diagnosi tramite esami strumentali possa peggiorare la sintomatologia del paziente! Non perché l’esame stesso abbia un effetto nocivo diretto sulla sintomatologia (come ho letto di recente da qualche divulgatore in piena foga propagandistica) ma per un effetto psicosomatico che spiegherò.
SOLLEVARE CARICHI NON FA MALE ALLA SCHIENA, allora direte: SOLLEVARE CARICHI MALE FA MALE ALLA SCHIENA!…NEMMENO!!! Ci sono studi che dimostrano addirittura che un sollevamento fatto con la schiena curva sia più efficacie rispetto al sollevamento che viene insegnato nella posturologia classica, a gambe piegate e schiena dritta e NON è PERICOLOSO. Con questo non voglio dire che sia errato non insegnare come si faccia un sollevamento corretto, proprio perché se imparo un movimento standard e lo ripeto sempre nella stessa maniera, il mio sistema centrale si specializzerà in questo movimento, creando delle associazioni e delle mappe che renderanno la mia scelta di fibre muscolari migliore per quel determinato movimento, promuovendo lo sviluppo delle fibre stesse.
Inoltre ci sono delle differenze anatomiche troppo importanti per non essere considerate da individuo ad individuo, che fan si che ognuno avrà delle piccole differenze nella sua tecnica di sollevamento.
Cos’è allora che fa la differenza nella prevenzione e cura della lombalgia legata al sollevamento dei carichi? LA GESTIONE DEI CARICHI.
Un disco intervertebrale è in grado di reggere anche oltre 600 kg, per cui se considerando anche le leve non vado a esercitare carichi maggiori non incapperò in lesioni a questo livello, questo parametro non è sufficiente a prevenire la lombalgia, bisogna considerare il livello di allenamento. Come ho anticipato sarà la ripetizione di un determinato sollevamento ad allenare le fibre muscolari specifiche e renderlo sicuro. Con che carico? DIPENDE. Dipende da fattori antropologici, dall’allenamento, dallo stato di stress, per cui la pesistica ci viene incontro per questo fine, in quanto se impariamo un sollevamento e siamo in grado di ripeterlo utilizzando i pesi sappiamo di per certo quanto stiamo caricando; ovviamente il carico di partenza è la cosa più difficile da capire, anche perché dobbiamo anche considerare il volume del lavoro, l’intensità e la densità, per questo sarebbe meglio rapportarsi con un professionista, soprattutto se presente dolore a livello lombare, in questo caso bisognerà porre attenzione anche all’intensità del dolore e della fatica durante il lavoro che si andrà a svoltere. Di questo ho parlato nell’ultimo articolo (ma lo approfondiremo ancora) ovvero che un lieve dolore anche in fase di sollevamento (TOLLERABILE) spesso è proprio indice che il carico che sto utilizzando è perfetto per informare il sistema centrale che il carico che sto sollevando non è nocivo e alzare la mia soglia del dolore migliorando la mia lombalgia.
In ogni caso, per non sbagliare, soprattutto se sono alle prime armi, si parte con un carico basso e alte ripetizioni, con un esecuzione lenta del movimento per controllarlo bene (per esempio nello stacco da terra, deadlift, ma vale per tutti i tipi di sollevamento). In questo modo aumenterò il numero di imput diretti al mio sistema centrale, il quale stimolerà a sua volta i fattori di crescita e rinforzo delle fibre che servono a questo fine, inoltre aumenterò il richiamo di sangue nella zona interessata, più sangue significa più ossigeno ovvero nutrizione per una zona in sofferenza, stimolando i processi di riparazione dei tessuti. Bene.. mi accontento? Ovviamente no. Il nostro corpo è particolarmente attento agli stimoli che stiamo dando, l’indomani avrò degli indolenzimenti, i cosiddetti DOMS (Delayed Onset Muscle Soreness,o indolenzimento muscolare ritardato)che non mi devono spaventare, ma son dovuti alle microlesioni muscolari che si son create e ai processi riparativi in atto, da non confondere con un riacutizzarsi della lombalgia. Da qui quella fantastica macchina chiamata corpo umano, attua quel meccanismo chiamato SUPERCOMPENSAZIONE, ovvero renderà le fibre muscolari più forti e resistenti rispetto a prima, per evitare che il corpo sia in difficoltà con il carico che ho utilizzato la volta precedente. Questo fenomeno dura solo pochi giorni e ci vuole anche una settimana per raggiungerlo (dipende dal carico che ho utilizzato), per questo è importante ogni volta che mi alleno aumentare di poco il carico, per sfruttare questo fenomeno, rendere la mia muscolatura più forte e una schiena più sana, senza avere il terrore di bloccarmi quando voglio spostare un vaso in giardino!
Viceversa, una persona che non è abituata a sollevare carichi ha più probabilità di bloccarsi quando farà un sollevamento o un movimento veloce, inoltre è ormai appurato che un muscolo sia contratto e dolente soprattutto quando è debole, quindi anche nelle lombalgie croniche è inutile tentare di rilassare la muscolatura lombare con altre tecniche se non effettuo un rinforzo.
Questa non vuole essere LA guida su come gestire il carico, semmai una piccola argomentazione per spronare le persone di ogni età a non aver paura di fare uno sforzo, la schiena è molto più forte di quello che pensiamo, così come tutte le nostre strutture, l’invito che faccio qualora abbiate una lombalgia è quello di intraprendere questo percorso con un fisioterapista aggiornato, se non avete dolori e volete cominciare da zero magari con un preparatore atletico.
Detto questo corro in palestra anch’io…Ciao. STAY STRONG STAY FREE
E.B.

“Mi han consigliato di riposare…” forse quello che devi fare è proprio il contrario!

HOMER

Una parola magica che chiunque abbia avuto a che fare con una problematica di qualsiasi tipo, come un “colpo della strega”, una distorsione articolare uno stiramento si sarà sentito dire: RIPOSO.

Considerata la panacea di ogni male, soluzione indolore e sicura, in realtà soprattutto parola poco chiara e spesso soluzione INEFFICACE.

Cosa significa esattamente “Riposare”? Quanto devo riposare, come devo riposare, devo smettere di andare a lavoro e passare due settimane a letto perché ho la lombalgia?” La risposta è nella maggior parte dei casi: NO. Le lombalgie da sovraccarico sono estramente poche, riguardano grandi sportivi o malati di fitness che esagerano e vanno in overtraining (condizione comunque rara) o categorie di lavoratori che richiedono sforzi molto, molto pesanti, anche queste rare. La maggior parte di persone con lombalgia (parlo di lombalgia ma anche di dolori in genere) sono persone sedentarie, che fanno lavoro d’ufficio.. l’ultima cosa di cui ha bisogno un sedentario è proprio il RIPOSO!

La condizione di sedentarietà, quindi il troppo riposo è proprio la causa stessa della lombalgia, consigliare ulteriore riposo diventerà deleterio per il paziente, può essere valido nella primissima fase di una lombalgia, solo se acuta, al contrario se è cronica bisogna spronare il paziente a muoversi!

E’ stato dimostrato a livello scientifico che la maggior parte dei dolori cronici è sovrastimato dal nostro sistema centrale, ciò significa che il dolore che percepiamo e decisamente più alto rispetto al danno strutturale che forse abbiamo (a volte non abbiamo nemmeno quello). Un esempio sono quelle lombalgie, numerose, nelle quali non abbiamo nessuna protusione o ernia, dove al paziente è stato raccomandato il solito riposo con qualche antinfiammatorio e nelle quali il dolore è diventato comunque cronico e invalidante.. vi spiego io in parole semplici (o almeno ci provo) cosa è successo:

Il paziente molto probabilmente era sedentario o comunque una persona non abituata a sollevare carichi, non particolarmente forte e non sportiva, che fa gli stessi movimenti (poco vari) tutti i giorni, i movimenti della sua routine. Un giorno sperimenta un movimento diverso, senza pensarci, o solleva un carico più alto rispetto al solito; il suo sistema centrale non è pronto a questo movimento, il cervello non ha creato in corteccia una mappa di questo movimento, non è in grado di visualizzarlo e di reclutare la muscolatura necessaria farlo.. risultato: un movimento eseguito male e uno spasmo muscolare doloroso. Il paziente ora ha paura a muoversi, il medico gli consiglia il riposo, in corteccia questo movimento viene registrato come “movimento doloroso” e quelle poche volte che il paziente per sbaglio lo eseguirà il cervello manderà il segnale del dolore. Che succede ora? dolore cronico, gamma di movimenti del nostro paziente sedentario ridotta al minimo. Meno movimento, meno rischio di sentire dolore, aumento di fattori psicologici che minano il benessere del paziente, ciclo di paura e dolore instaurato, a volte dipendenza dai farmaci e tutto ciò che ne consegue. Un paziente “paralizzato” dalla paura di fare qualsiasi cosa.

la vera soluzione? TOLLERANZA e GESTIONE DEI CARICHI

Le due vere parole magiche della riabilitazione. Rendiamo le persone libere di muoversi con coscienza, torniamo forti e senza paura, la nostra schiena è stata progettata per muoversi e sollevare carichi, SOLLEVARE CARICHI NON FA MALE ALLA SCHIENA! I dischi intervertebrali sono in grado di reggere oltre 700 kg! solo muovendosi in ogni modo e sollevando carichi con una corretta gestione (di questo parleremo nel prossimo articolo) il nostro sistema nervoso centrale sarà in grado di creare infinite mappe di movimento, far si che i corretti muscoli si contraggano ad ogni movimento e sollevamento e liberarci dalla schiavitù di sentire male, STOP con il terrorismo psicologico imposto dalle linee guida dell’anteguerra prive di fondamento scientifico del riposo assoluto in caso di qualsiasi problematica.

Quindi il primo consiglio da darti non è il riposo assoluto, ma di muoverti quanto e come il tuo corpo te lo consente in questo momento, quello che il tuo corpo TOLLERA, non sei un ficus benjamina da mettere in un angolo di casa! Questo preferibilmente con l’aiuto di un professionista del movimento ovviamente.

Come e quanto caricare? Di questo ne parleremo dettagliatamente prossimamente. Ciao a tutti e MUOVETEVI! 🙂

E.B.

E’ davvero così importante come ci sediamo a lavoro?

fatguyatcomputer
Piccola riflessione sulle posture prolungate mantenute soprattutto in ambito lavorativo:
Di recente ho iniziato a girare nelle aziende a fare formazione sulle posture e le abitudini da mantenere a lavoro, compresa l’educazione del sollevamento dei carichi. Ho visto anche sui social la sponsorizzazione di fantomatici cuscini che siano in grado di far mantenere la postura “perfetta” da seduti; vi sfato un mito, a livello scientifico non esiste la correlazione tra DIFETTI POSTURALI OGGETTIVI e DOLORI, nel senso che anche chi mantiene quella che vien definita “postura perfetta” per tutta la giornata lavorativa ha le stesse possiblità di incappare in acciacchi rispetto a chi non la mantiene. La postura è qualcosa di troppo soggettivo per oggettivarla, con questo non invito le persone a non tenere una postura corretta sul luogo di lavoro, anzi giustamente educo le persone a come si dovrebbero sedere, a porre attenzione alla distanza dal monitor, etc. ma ricordo che non siamo dei soprammobili! Non è umano mantenere la stessa postura 8 ore consecutive al giorno. Il danno non la fa solo la postura, ma le linee di forza gravitazionale che mantenendo la stessa postura vanno a pesare negli stessi identici punti, creando ischemia locale prolungata e possibilità di creare danni. Come evitare questa situazione? MUOVENDOSI. Il movimento è vita, soprattutto alzandosi e cambiando posizione, non accontentiamoci di settare la stazione lavorativa, io spesso consiglio nei casi in cui sia impossibile alzarsi per diverse ore consecutive di mettere un balance disk ad aria sotto il sedere proprio per non stare mai fermi e far anche lavorare la muscolatura, ma non è la soluzione a tutti i problemi posturali, come non lo è la palla pilates che non possibile regolare in altezza. Quindi partiamo da un set posturale classico, corretto, ma questo deve essere solo un punto di partenza per non rimanere impalati come uno stoccafisso.
E’ sufficiente questo? ovviamente no, ne parleremo nel prossimo post, dove parleremo dell’altro mito già sfatato dalla scienza, sollevare carichi fa male alla schiena? Assolutamente no.
E.B.

URBAN FITNESS: una nuova collaborazione con la palestra più innovativa d’Italia

Fisiolario è ora partner di Urban Fitness, una vera boutique del movimento che vanta 60 centri in Italia. L’idea di collaborare nasce come proseguimento di un percorso terapeutico che vede la riatletizzazione del paziente dopo il percorso riabilitativo, o semplicemente di raggiungimento di benessere in seguito a una problematica fisica. Urban Fitness offre un allenamento totalmente individualizzato, unendo l’attività fisica con la stimolazione elettrica total body (EMS), in sessioni di soli 20 minuti, che permettono dei risultati paragonabili con sessioni d’allenamento molto più lunghe, il tutto supportato dalla ricerca scientifica, con trainer preparati e formati sull’allenamento post – infortunio dal sottoscritto.

Inoltre dal 2019 in diversi centri sarà presente il D WALL, un dispositivo di ultima generazione creato dalla Tecnobody, una sorta di specchio virtuale attraverso il quale sarà possibile una valutazione più dettagliata del cliente, riguardo ai suoi deficit articolari e di forza e che renderà perfettamente misurabili i progressi.

Inoltre i pazienti del nostro studio avranno diritto a uno sconto sulle sedute in Urban Fitness; per informazioni contattatemi direttamente, anche per delucidazioni riguardo la metodica utilizzata nei centri. Buon allenamento a tutti

http://www.ubranfitness.it

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PSICOSOMATICA, DIAFRAMMA E PSICOLOGIA

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PSICOSOMATICA: La psicosomatica è una branca della medicina e della psicologia clinica volta a ricercare la connessione tra un disturbo somatico (anche generico) e la sua eziologia sempre di natura psicologica.

Quando un paziente va dal medico per un dolore fisico, spesso si sarà sentito dire: “Stia tranquillo, è un po’ di tensione dovuta allo stress.” in seguito forse gli verrà prescritto qualche farmaco per i dolori e il più delle volte la terapia finisce qua.
Cosa succede al nostro fisico quando siamo sotto stress? A livello psicologico non ho le competenze per rispondere, a livello chimico e soprattutto fisico forse si. La risposta chimica è abbastanza semplice, ovvero l’aumento della produzione di un ormone chiamato “cortisolo”, gli effetti dell’ipercortilosismo (eccesso nella produzione di cortisolo) sono, per citarne alcuni: stanchezza, osteoporosi, iperglicemia, diabete, perdita di tono muscolare e cutaneo, colite, gastrite, impotenza, perdita della libido, aumento della pressione arteriosa e della concentrazione sanguigna di sodio, strie cutanee, depressione, apatia, euforia, ansia e diminuzione della memoria. Il Cortisolo è l’ormone che “distrugge”, ci fa perdere la massa magra, è importante che il suo livello sia sempre sotto controllo
A livello fisico periodi di stress possono causare mal di testa, gastriti, cervicalgia (la famosa tensione sulle spalle, oppure: dottore ho la cervicale!..tutti abbiamo la cervicale fortunatamente), lombalgia, etc. Oltre alle cause chimico di cui abbiamo accennato, perché succede questo?
In situazioni di forte ansia, stress o stati depressivi, uno dei fattori che spesso vengono sottovalutati è il come si respira, e quando si parla di respirazione si parla di DIAFRAMMA, qualcosa che il vostro osteopata non può non valutarvi. Il diaframma è il muscolo respiratorio principale del nostro corpo, in situazioni normali il compito della respirazione è deputato quasi esclusivamente a lui, ma in situazioni d’emergenza aumenta il lavoro di coloro che sono chiamati “muscoli respiratori accessori”, molti tra i quali situati nelle logge del collo, ad esempio gli scaleni. In parole semplici queste muscoli consentono un’elevazione delle spalle e delle scapole per consentire un’apertura maggiore della gabbia toracica, che normalmente avremmo grazie a una buona contrazione del diaframma. Ecco spiegata la famosa “tensione sulle spalle”, ovvero un affaticamento per eccessivo utilizzo di questa muscolatura. Per cui disturbi a livello psicologico possono influenzare la respirazione, ma un non corretto utilizzo del diaframma può causare anche altri tipo di disturbi a livello fisico, per esempio problematiche a livello viscerale, è risaputo che il diaframma sia il motore del meccanismo viscerale, la sua contrazione è in grado di aumentare la pressione intraddominale e la decontrazione per farla abbassare, questo facilita la digestione e la peristalsi tra le altre cose. Inoltre posteriormente sulle prime vertebre lombari abbiamo i pilastri del diaframma, ovvero le inserzioni tendinee dello stesso, la cui tensione è spesso causa di lombalgia.
Con l’osteopatia siamo in grado di agire su tutti questi sintomi, con ottimi risultati; grande motivo di vanto dell’osteopatia è quello di lavorare sulla causa di un disturbo fisico, e in un caso come questo potrebbe essere il diaframma la causa. Alcuni colleghi cercano anche di capire quale sia la causa psicologica che abbia causato questa catena di problemi, ma questo NON ci compete e NON DEVE competerci, a mio parere l’unica nozione che possiamo darei ai nostri pazienti è che uno stato psicologico non ottimale influenzi sempre, anche se a volte non subito, lo stato di salute fisica. Bisogna prendersi cura non solo del fisico, ma anche della mente, e per farlo a volte occorre affidarsi ai professionisti del mestiere, parliamo di psicologi quali noi (osteopati, fisioterapisti, medici, parrucchieri, preti, estetiste) non siamo, anche se spesso siamo dei buoni ascoltatori e consulenti, e ancor di più lo PSICOTERAPEUTA, ovvero lo psicologo che non solo fa diagnosi, ma attraverso un percorso terapeutico aiuta il paziente nella cura del suo problema.

In isola a due passi dal mio studio si trova lo studio di psicologia della dott.ssa Psicologa Psicoterapeuta Mikaela Bonvini, esperta nella cura di stati di ansia e stati depressivi, con la quale collaboro in quanto ritengo che un lavoro sinergico di diverse discipline che hanno come fine il benessere psicofisico sia decisamente più efficacie. La locuzione latina “Mens sana in corpore sano” d’altra parte la conosciamo tutti, buon fine settimana a tutti ❤️#isola #milan #osteopatia #psicologia #psicoterapia #TGIF

www.mikaelabonvini.it

Benvenuti

FisioLario è uno studio di Terapia Manuale e Fisioterapica fondato dal dott. Elia Brocchetti, laureato in fisioterapia, scienze motorie e osteopata iscritto al ROI, il registro degli osteopati italiani.