Smart working: come contrastare la nuova “ondata di sedentarietà”

La maggior parte dei pazienti che si presenta in studio con problematiche legate soprattutto al
rachide fa un lavoro d’ufficio e ora con l’aumento dello smart working la situazione è peggiorata, probabilmente a causa di una maggior quantità di lavoro da seduto, e per la work station, meno confortevole rispetto a quella dell’ufficio; nell’immaginario comune nonostante si sa che la condizione sedentaria sia deleteria per la salute, si pensa ancora che sia abbiano maggior problemi muscoloscheletrici nei lavori cosiddetti “pesanti” (per esempio un muratore), ma la realtà dei fatti non è propriamente questa. Nei lavori pesanti i rischi sono legati al sovraccarico, ma al tempo stesso chi fa questo tipo di lavoro possiede “maggior capacità di carico” proprio perché il corpo risponde alle richieste che gli vengono sottoposte. È il principio di adattamento, che è lo stesso dell’allenamento, che induce una trasformazione dei tessuti e un miglioramento delle capacità condizionali. Questo ovviamente non esula chi fa un lavoro pesante dall’insorgenza di problematiche, proprio perché spesso i carichi a cui sono sottoposti sono troppo elevati, infatti le lesioni avvengono quando siamo sottoposti a carichi più alti rispetto alla nostra capacità di carico.
Inoltre, spesso sentiamo dire “oggi ho mal di schiena perché oggi sono stato troppo tempo in piedi” oppure “oggi ho mal di schiena perché sono stato troppo tempo seduto”; come mai due condizioni antitetiche producono lo stesso effetto? Con tutta probabilità i due mal di schiena sono differenti, nel primo caso potremmo avere dei dolori per sovraccarico delle strutture muscolari che hanno dovuto tenere la schiena eretta per molto tempo, ma nel secondo caso? Ancora oggi non è ben chiaro a tutti che quando siamo seduti il carico sulle strutture passive (legamenti, dischi intervertebrali e vertebre stesse) è più alto, e mantenuto per periodi troppo prolungati può essere deleterio. In immagine potete vedere in percentuale la quantità di carico rispetto al proprio peso.

L’immagine non ci deve far comunque spaventare, in realtà il rachide è una struttura molto più forte di quanti pensiamo, basti pensare che nei giovani i dischi intervertebrali hanno capacità di carico vicino agli 800 kg e nell’anziano scende ma non sotto i 400 kg (Kapandji); questo spiega perché atleti sono arrivati anche a sollevare da terra 500 kg. Quindi perché se resto seduto troppo tempo posso soffrire di mal di schiena o comunque avere dolori articolari? Il corpo sopporta molto bene i carichi, ma non sopporta altrettanto bene i carichi prolungati nella stessa posizione. Basti pensare a quando dormiamo, si è calcolato che anche nelle fasi di sonno profondo cambiamo posizione almeno ogni ora, questo proprio per cambiare le linee di carico e facilitare la circolazione dei liquidi. Proprio la circolazione è il motivo principale per il quale abbiamo bisogno di effettuare cambi posturali (sia di giorno che di notte) perché è il sangue che porta l’ossigeno ai tessuti, i quali senza ossigeno vanno in sofferenza (ipossia tissutale) e a lungo andare si possono lesionare. Siamo infatti una struttura altamente “instabile” nel senso che siamo provvisti di un numero molto alto di articolazioni che vanno continuamente stabilizzate dai muscoli per permettere i movimenti e facilitare la circolazione, in particolare il ritorno venoso (le vene a differenza delle arterie non hanno un tessuto muscolare abbastanza forte come nelle arterie) che va coadiuvato dalla contrazione muscolare per essere efficiente.
Questo sarebbe già sufficiente a spiegare l’importanza di dedicare un po’ di tempo a muoversi, ma se fosse così semplice potrebbe essere sufficiente passeggiare (il che già di per sé è un ottima cosa). Quando ci si muove poco o si fanno sempre gli stessi movimenti tendiamo a entrare in una “comfort zonelimitata, il nostro cervello quindi è in grado di governare ottimamente tali movimenti e nella quantità in cui siamo abituati a farli. E quando usciamo da questa zona? Se facciamo un movimento “nuovo” o al di fuori del nostro abituale ROM (Range Of Motion) questo sarà probabilmente meno coordinato e se reputato “pericoloso” dal nostro sistema centrale potremmo sentire del dolore. Questo perché non sentiamo dolore solo quando c’è un danno, ma anche e soprattutto quando registriamo la possibilità di avere un danno POTENZIALE, e quando il nostro sistema non lo registrerà più come tale non avvertiremo più la sensazione dolorifica. Questo quando avverrà? Quando espanderemo la nostra “comfort zone”, apprendendo movimenti nuovi, nel rispetto del dolore, ad un ampiezza, velocità e difficoltà via via maggiore.
Esistono quindi ragioni fisico-meccaniche e neurologiche per motivarci a dedicare anche solo 15-20 minuti al giorno per fare un programma di esercizi, oltre al fatto di ricordarci di variare spesso la postura (è consigliabile alzarsi dalla sedia per pochi minuti ogni 30’-40’), ma è importante anche dal punto di vista di controllo dello stress, poiché per quei 15-20 minuti la mia attenzione non sarà più rivolta a pensieri stressanti, ma semplicemente ai movimenti che andrò a fare, concedendo un momento di riposo alla mia psiche, fondamentale per il benessere psicofisico. Inoltre molti esercizi saranno coordinati con la respirazione, la quale merita a sua volte due parole.
Un’altra cosa che spesso ci dimentichiamo di fare durante la giornata è “RESPIRARE”. Ovviamente non in senso letterale, altrimenti non saremmo qui a parlarne, ma quanti di noi, che non si sono mai avvicinate alla meditazione, al pilates, alla mind fullness o allo yoga, si fermano durante la giornata esclusivamente per
respirare? Quando abbiamo un momento libero difficilmente abbiamo la consapevolezza di averlo, e cerchiamo di occupare il tempo magari guardando al cellulare i vari social network. Tutte le tecniche di rilassamento muscolare e psicologico hanno alla loro base la respirazione, in particolare quella profonda e diaframmatica. Pochi minuti al giorno possono dare un grande beneficio, per le stesse ragioni di “distacco” da tutti gli altri pensieri e per ragioni meccaniche che provo a spiegare. Il diaframma è il muscolo respiratorio principale, senza il quale non possiamo vivere, e l’unico che assieme al cuore lavora tutto il tempo da quando nasciamo fino alla fine. In situazione di riposo dovrebbe essere quasi l’unico motore della respirazione, mentre quella che viene definita “muscolatura respiratoria accessoria” o “secondaria” dovrebbe lavorare in minor parte, o comunque lavorare di più solo in situazioni di stress, in cui ho bisogno di un maggior apporto d’aria. Tra questi muscoli abbiamo il trapezio e gli scaleni, muscoli coinvolti in problematiche comuni come la cervicalgia. Siccome la vita moderna non prevede più grandi stress di breve durata seguiti da periodi di relax prolungati, ma piccoli grandi stress continui, spesso le persone respirano meno col diaframma e più con la muscolatura accessoria, creando un sovraccarico a livello delle spalle. Inoltre il diaframma è considerato un motore viscerale, in quanto la sua corretta contrazione va ad aumentare e abbassare continuamente la pressione addominale interna, facilitando le funzioni dei visceri nella cavità addominale (come la peristalsi) e favorendo la circolazione dei liquidi, in particolare il ritorno venoso. Per questo è importante imparare la respirazione diaframmatica e dedicare qualche minuto al giorno ad essa, quando si ha tempo o quando si ha la necessità (ad esempio quando si accusa un forte stress). (per approfondire vedi PSICOSOMATICA, DIAFRAMMA E PSICOLOGIA).

Movimento e respirazione sono dei farmaci potentissimi per il nostro benessere, ma hanno un solo difetto…sono gratuiti! 🙂

Nel prossimo articolo presenterò una routine di movimenti per tutti, che si possono eseguire da casa senza strumentazioni e anche se si soffre già di problematiche articolari, sia per alleviare i sintomi che per prevenirli

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